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23 Marzo 2022 11:00

La storia della parigina: la pizza rustica napoletana nata “p’ ‘a riggina” di Borbone

La storia di una pizza davvero buonissima, venduta da bar e rosticcerie: la "parigina", o meglio, la "p’ ‘a riggina". Vediamo come nasce e perché si chiama così.

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A Napoli c'è una pizza che non viene fatta in pizzeria ma che si trova in ogni rosticceria, bar e nella maggior parte delle panetterie: si chiama "parigina" ed è un pezzo rettangolare di pasta sfoglia a due strati con pomodoro, mozzarella e prosciutto cotto. È una pizza sfortunata per due ragioni ben precise:

  1. Innanzitutto è nota col nome sbagliato, ovvero "parigina", scritto tutto attaccato come la denominazione delle cittadine di Parigi. In realtà nasce come "p’ ‘a riggina", cioè "per la regina".
  2. La seconda è più semplice e pure un pochino triste: tendenzialmente (ma non sempre) la qualità della materia prima non è eccelsa, infatti pur essendo all'apparenza goduriosa, non trova il beneplacito unanime dei cittadini.

In realtà questo prodotto viene vilipeso dagli stessi napoletani, un po' per partito preso, senza un vero motivo. Non a caso quei pochi posti che hanno dedicato tempo e risorse per realizzare una "parigina perfetta" sono indelebili nella mente di tutti i partenopei.  Ancora oggi, purtroppo, la "p’ ‘a riggina" è infatti vista come una sorta di colazione salata, mangiata al mattino e di primo appetito quando, diciamocelo, tutto è più buono. Questa sensazione "aiuta" chi non si sforza di offrire un buon prodotto ai clienti, ma fa un gran danno a un piatto storico e identitario, servito sulle tavole dei re. Per quanto riguarda infine la qualità delle materie pirme, dopo la rivoluzione della pizza classica, sarebbe auspicabile una rivoluzione della "parigina".

Non è un prodotto molto famoso al di fuori della Campania: per molti anni la "parigina" è rimasta confinata nella regione d'appartenenza in primis perché nel resto d'Italia la colazione salata non è così apprezzata, ma anche perché trovare delle buone pizze parigine non è così semplice neanche in patria. Negli ultimi tempi, complice il boom gastroturistico della città di Napoli, molti si stanno chiedendo come si prepari questa "parigina" e perché si chiama così.

Perché la "parigina" si chiama così

La cucina tradizionale napoletana è così ricca perché accanto a una solida gastronomia povera e popolana si è sviluppata un'altrettanto solida gastronomia regale. La passione dei Borbone per la tavola e i sapori della propria terra ha regalato alla Campania una delle cucine più complete e saporite che ci siano. Può far sorridere ma tantissime di queste ricette sono compromessi tra marito e moglie: Ferdinando IV, il "re lazzarone", e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, una regina dal carattere forte e non sempre amato dai sudditi ma che ha dato tantissimo al Regno delle Due Sicilie. Il primo ha portato la cucina del popolo all'interno del Palazzo Reale, la seconda ha invece portato l'alta cucina francese tra le mura dell'edificio ideato da Domenico Fontana e Gaetano Genovese.

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Grazie alla sovrana viennese arrivano a Napoli i "monsieur", cuochi francesi dalla grande esperienza nelle corti reali e nei castelli della Loira. Questi cuochi sarebbero dovuti arrivare solo per il matrimonio tra Maria Carolina e Ferdinando, per poi ripartire: ma, grazie a faraoniche offerte da parte della famiglia Borbone, molti di questi chef restarono tutta la vita in Campania. È proprio grazie ai monsieur, prontamente ribattezzati "monzù" dal popolo partenopeo, che oggi abbiamo pietanze straordinarie come il sugo alla genovese, il babà e il gattò. Tra le pietanze inventate dai cuochi d'Oltralpe a Napoli c'è anche la "parigina", nome che nulla c'entra con la città della Torre Eiffel.

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La nascita di questa pizza, secondo lo storico Raffaele Bracale, la si deve a uno chef anonimo del 1816, discepolo di Marie Antoine Carême Arfäně, uno dei cuochi più importanti della storia. Proprio a Carême dobbiamo la codifica e la diffusione del concetto di "alta cucina", l'invenzione del cappello da chef e tutta la rivoluzione del servizio di sala. Tra le tante innovazioni di Carême c'è anche l'invenzione della pasta sfoglia, una preparazione neutra a base di farina, acqua e burro che può essere usata sia nelle preparazioni salate, sia nelle preparazioni dolci.

Come si arriva quindi alla pizza rustica? L'anonimo allievo di Carême avrebbe chiesto a un suo collaboratore di preparare una merenda per Maria Carolina: questo esegue e porge allo chef un pezzo di pasta di pane farcito all'inverosimile con pomodoro e mozzarella, un piatto semplice, ideato "p’ ‘a riggina". Lo chef francese "rivisita" l'idea del collaboratore ricordando gli insegnamenti del proprio maestro, sostituendo il primordiale impasto per la pizza con una pasta sfoglia perfettamente eseguita, croccante, leggerissima. Questa nuova invenzione, questa nuova pizza, sarebbe nata "p’ ‘a riggina", per soddisfare il leggero languorino della sovrana austriaca. La portata più iconica delle rosticcerie napoletane non ha quindi nulla a che vedere con la Capitale di Francia, cosa che a prima vista sembra naturale. In realtà la "parigina" è figlia solo del lavoro di un cuoco francese e di un suo collaboratore napoletano che insieme hanno unito l'ingegno, creando un piatto indimenticabile "p’ ‘a riggina" di Napoli.

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A cura di
Leonardo Ciccarelli
Nato giornalista sportivo, diventato giornalista gastronomico. Mi occupo in particolare di pizza e cocktail. Il mio obiettivo è causare attacchi inconsulti di fame.
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